EGO O NON EGO? QUESTO È IL PROBLEMA.
Aiutare gli altri è un gesto nobile, ma siamo certi che sia sempre giusto farlo, soprattutto senza il loro consenso? Talvolta, il nostro desiderio di aiutare, cela un atto di puro egoismo, seppur ben mascherato. È un “sano egoismo” che soddisfa il nostro bisogno di sentirci migliori, di sollevare la nostra coscienza e di vestirci da supereroi agli occhi del mondo.
Eppure, ognuno di noi viene al mondo con un compito preciso, una missione personale da compiere. Intervenire nella vita altrui, senza il loro consenso, anche con le migliori intenzioni, può rivelarsi un’invasione. È come lanciare un salvagente a qualcuno che non sta annegando: non solo non sarà d’aiuto, ma rischierà di intralciare il percorso unico e irripetibile di quella persona.
Solo quando qualcuno ci chiede esplicitamente una mano possiamo, con coscienza, scegliere se porgerla o meno. In quel momento, la nostra decisione è autentica, rispettosa e consapevole. Ma intervenire, senza un invito, è un errore, un’interferenza con la missione individuale che ciascuno di noi ha su questa terra.
L’esperienza mi insegna. Ho compreso, con il tempo, che anche le migliori intenzioni non giustificano il mancato rispetto dello spazio altrui. Non significa che non sarò più disponibile per gli altri; al contrario, lo sarò, ma solo se e quando qualcuno me lo chiederà.
In questo modo, non invaderò la privacy altrui né altererò equilibri che non mi appartengono. Come dicevano i latini, "in medio stat virtus": la virtù sta nel mezzo, nel trovare il giusto equilibrio tra altruismo e rispetto. E questo, forse, è il vero significato del fare del bene.
Al prossimo pensiero in libertà.
Veronica.
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